Cambiamenti climatici e cibo. Verso un mondo a risorse zero.

Cambiamenti climatici e cibo. Verso un mondo a risorse zero, e responsabili ne sono i cambiamenti climatici derivanti dalle immissioni di gas effetto serra. L’argomento sembra così vasto da non poterci toccare direttamente, eppure i cambiamenti climatici influenzeranno non solo la quantità ma anche la qualità del cibo a disposizione negli anni futuri.

Cambiamenti climatici e cibo. L’allarme di Eliza Erskine, in un articolo su One Green Planet.

La situazione è molto seria: proiezioni matematiche mostrano che la produzione di cibo potrebbe essere a rischio se il pianeta continua a riscaldarsi. Secondo i modelli della PSL Research University di Parigi, nove persone su 10 vivranno in paesi con una produzione di cibo in calo entro il 2100. Certo, noi non ci saremo: a farci i conti saranno altri. Il che è un magro conforto, specialmente se, come si dice, “si tiene famiglia”. Entriamo nei dettagli, sempre guidati da Eliza Erskine. Nove persone su dieci potrebbero vivere in paesi in cui la produzione di cibo proveniente da allevamenti e pesca diminuirà entro la fine del secolo, se i cambiamenti climatici continuano senza controllo. Lauric Thiault alla PSL Research University di Parigi e i sui colleghi si sono concentrati soprattutto l’impatto su agricoltura e pesca, utilizzando modelli climatici matematici. Secondo il gruppo di scienziati, pensando allo scenario climatico peggiore, quello che inevitabilmente si avvererà con l’attuale tendenza, circa il 90% della popolazione mondiale vivrà in paesi in cui entrambi i settori, agricoltura e pesca, avranno un significativo calo di produttività entro il 2100. 

Meno del 3% delle persone vivrà invece in luoghi in cui la produzione sarà in aumento. I paesi meno sviluppati e con meno possibilità di adattamento a causa delle scarsità di risorse, saranno, ovviamente i più colpiti. Paesi meno sviluppati e con meno possibilità di adattamento a causa delle scarsità di risorse, saranno, ovviamente i più colpiti. La riduzione della vulnerabilità delle società ai futuri impatti climatici richiede azioni rapide di intervento condotte dai principali emettitori di CO2.

Cambiamenti climatici: il ruolo degli allevamenti intensivi

Ancora Lauric Thiault ci spiega, in numeri, di che riduzione di disponibilità stiamo parlando: nel peggior scenario climatico possibile, la pesca vedrà un calo fino al 60% della produttività e un calo del solo 10% in una situazione di riduzione delle emissioni. Ugualmente, l’agricoltura, nelle peggiori condizioni climatiche possibili, vedrebbe una riduzione della produttività del 25%, e un calo del solo 5% se il clima migliorasse. Inutile sottolineare che saranno i paesi tropicali ad essere più colpiti.

Di recente, le Nazioni Unite hanno pubblicato un rapporto sull’argomento, esortando le persone a ridurre il consumo di latticini e carne optando per più alimenti di origine vegetale come modo per agire sul clima. È infatti noto che i grandi allevamenti intensivi producono il 18% di tutte le emissioni di gas a effetto serra. Qualche numero allarmante: per produrre un hamburger di manzo si spreca una quantità d’acqua equivalente a due mesi di docce. Il 97% della distruzione della Foresta amazzonica deriva dagli allevamenti intensivi.

Il caso Italia

Si potrebbe pensare che nel paese del buon cibo di allevamenti intensivi non si possa ‘parlare. Purtroppo, non è così. La maggior parte della carne consumata deriva proprio da allevamenti intensivi. L’incessante lavoro di organizzazioni come Slow Food, che promuovono gli alimenti, anche di origine animale, locali, sostenibili, a chilometro zero, biologici, sta sostenendo la nascita di una cultura del cibo sostenibile. La grande cucina italiana, preparata dai nostri migliori chef, ha sposato ormai questa cultura, non a caso i buoni ristoranti si distinguono per la qualità delle materie prime, a chilometro zero, da piccoli presidi, biologiche. Ci danno un’indicazione preziosa: pensiamoci, quando facciamo la spesa.



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